Alberti e Mori Ubaldini

GLI ALBERTI

IL ‘200: L’ARRIVO A FIRENZE

Giunta a Firenze agli inizi del Duecento dall’Alpe di Catenaia (Valdarno casentinese), la famiglia Alberti raggiunge nel Trecento il suo massimo splendore. Jacopo di Carroccio è posto dal padre a capo della ragione bancaria al servizio del Papa, detta “compagnia vecchia” che, assieme a quella denominata “compagnia nuova” con filiali in tutta Europa costituisce un vero e proprio impero finanziario. Contemporaneamente all’attività di banchieri e mercanti, gli Alberti svolgono in Firenze un’impegnata attività politica, partecipando alla vita della città come priori, maestri di zecca, ambasciatori e altro ancora.

IL ‘300: LA COSTRUZIONE DELL’ORATORIO

Dagli inizi del Trecento gli Alberti si stabiliscono proprio nel quartiere nascente di Santa Croce, ove hanno acquistato e fatto costruire vari palazzi, tra cui la torre ancor oggi visibile in Via dei Benci.

La cappellina sul Ponte di Rubaconte, dunque, bene si inserisce in quest’opera di “colonizzazione” ed aggiunge sicuramente maggior visibilità alla famiglia. Jacopo infatti, nel suo testamento del 1374, dispone che sia terminata e chiede di esservi sepolto assieme a uno dei suoi figli prematuramente scomparso.
La cappella viene quindi costruita e portata a termine da Francesco figlio di Jacopo, poiché il padre muore l’anno stesso del testamento.

L’ESILIO

Ben presto, però, la situazione politica cambia per i membri della famiglia Alberti. Dopo il fallimento della rivolta dei Ciompi, appoggiata da Benedetto, nonno di Leon Battista, la fortuna della famiglia viene decisamente meno. Le balìe del 4-6 maggio del 1387 sentenziano l’esilio di Benedetto stesso e di Cipriano di Duccio per la durata di due anni, ma il decreto coinvolge fin da subito una buona parte dei rappresentanti maschili della famiglia ai quali viene interdetta ogni attività pubblica per cinque anni. Questo è il primo della serie di bandi che dal 1401 avrebbe allontanato tutta la famiglia dalla città per un trentennio.
La famiglia continua comunque a mantenere il patronato sulla Cappella, che fin dall’inizio aveva mostrato la sua vocazione pubblica, crescendo nell’affetto e nel legame con la sua città. E la devozione del popolo fiorentino, dicono i documenti, è a tal punto cresciuta per le grazie ivi ricevute, che dacché Iacopo l’aveva fatta costruire sotto la protezione e intitolazione di “Santa Maria”, essa aveva mutato il proprio nome in “Santa Maria delle Grazie”!

Non sappiamo cosa succede nel periodo in cui gli Alberti sono in esilio anche se è lecito supporre che siano le donne di famiglia, non implicate nel bando, a curare le sorti della chiesetta e non risulta da alcun documento che il patronato abbia avuto una interruzione. Nel corso dei secoli la Cappella continua dunque a godere di grande afflusso di fedeli grazie all’impegno degli Alberti: al mantenimento dell’Oratorio e dei sacerdoti (che lì celebravano e vivevano) infatti, partecipa tutta la famiglia.

I MORI-UBALDINI DEGLI ALBERTI

L’OTTOCENTO: LA FINE DEGLI ALBERTI E LA SUCCESSIONE DEI MORI-UBALDINI

Nell’Ottocento tuttavia si conclude con Leon Battista Alberti, figlio di Vincenzo, la genia diretta degli Alberti di Firenze. Egli non ha figli né parentela diretta cui lasciare il nome e il patrimonio, poiché anche la moglie Anna Lorenzini gli premuore nel 1824. Decide allora di adottare il piccolo Giorgio, figlio del cavalier Mario Mori Ubaldini, anch’egli di antica e nobile famiglia toscana, con l’impegno e il privilegio che assuma lo stemma e il cognome (Alberti). Purtroppo Giorgio muore giovanissimo nel 1836, lo stesso anno del suo benefattore.

L’eredità passa comunque a suo padre Mario ed ai fratelli Arturo e Guglielmo, che mostrano nei confronti della piccola cappella non meno fervore.

DEMOLIZIONE DELLA CAPPELLA E TRASLAZIONE DELL’AFFRESCO

Mario e i due figli hanno un ruolo fondamentale nella storia di Santa Maria delle Grazie. A partire dal 1870 infatti essi si trovano di fronte alla volontà del Comune di allargare il ponte alle Grazie, all’esproprio del terreno riguardante la Cappella e quindi al suo abbattimento [DATA?].

Mario Mori Ubaldini degli Alberti vuole allora ricreare un ambiente in cui accogliere l’immagine sacra, cara alla famiglia di adozione e al popolo fiorentino. Individua dunque una palazzina facente parte del suo patrimonio sul lungarno della Borsa, oggi lungarno Diaz, al numero 8. I lavori sono ultimati nel 1874, come ricorda la lapide all’interno della Cappella.

IL DISSESTO FINANZIARIO E L’ESPATRIO

Non sappiamo quanto pesarono sul complesso delle finanze degli Alberti i lavori di ripristino dell’Oratorio e la generosità di Mario, o quanto incisero le spese dissennate del figlio Arturo. Fatto sta che ben presto il patrimonio della famiglia va allo sfascio e la famiglia nel 1880 è costretta a partire alla volta di Lione per sfuggire ai debiti, mentre buona parte dei beni immobili viene messa all’asta.

I DUCHI DI LUYNES

Lione è scelta per la presenza dei Duchi di Luynes, ramo francese della famiglia Alberti, che riescono a rilevare sia il palazzo Alberti adiacente alla Cappella che la Cappella stessa.

I Luynes, comprendendo il legame affettivo esistente tra la famiglia e il tempietto mariano, al momento di vendere il palazzo al marchese Malenchini, scorporano la Cappella e la riaffidano alle cure dei legittimi proprietari. Così il 4 marzo 1895 il figlio di Guglielmo, Mario Mori Ubaldini degli Alberti si obbliga a mantenere all’immobile in questione l’attuale uso di Oratorio destinato al culto di S.M. delle Grazie, senza che Egli né suoi eredi, e successori anche a titolo particolare possano giammai, né sotto qualsiasi pretesto, cambiare l’attuale destinazione dell’Oratorio medesimo”.

IL NOVECENTO: FINE DEL PATRONATO E DONAZIONE ALLA MENSA ARCIVESCOVILE

Arriviamo così al XX secolo, quando l’alluvione del 1966 provoca conseguenze catastrofiche sull’edificio dell’Oratorio posto sul lungarno.
Tocca a Marilina Cavazza, moglie di Guglielmo Alberti, prematuramente scomparso, provvedere al restauro del luogo sacro; si attiva quindi presso conoscenti e autorità poiché evidentemente i costi sono tali da non poter pensare di farvi fronte con i soli beni di famiglia.

Nel frattempo la Soprintendenza ai Monumenti, pur potendo contribuire solo a una parte della spesa, si vede costretta ad imporre il restauro dell’Oratorio sia per l’importanza artistica e storica della cappella, che per le numerose richieste di riapertura al pubblico. Si pensa allora di vendere l’immobile, ma l’affare si arena, sembra, per quel codicillo al documento del 1895 che imponeva a Mario Alberti ed ai suoi discendenti di non poter vendere in alcun modo il bene restituitogli dai Luynes. Il 1 aprile 1971 Marilina Alberti e i figli si vedono allora costretti, per assicurarle il restauro ed il mantenimento, a donare la Cappella alla Mensa Arcivescovile di Firenze che la fa restaurare e la restituisce ai suoi devoti fedeli.

Termina così, dopo 600 anni, il patronato della famiglia Alberti, che tanto ha fatto nel corso dei secoli per Maria Madre delle Grazie.